Tuttavia, se all’Estero ci guardano un po’ così, come i parenti poveri dell’Occidente, non lo si deve ai comportamenti bizzarri del nostro Premier. E’ qualcosa che ci portiamo dietro da sempre, da secoli, ancor prima di esistere come Nazione unitaria. Poco affidabili, spesso poco seri, troppo giocherelloni. Sono stereotipi radicati nell’essere Italiano, fin da quando spagnoli, austriaci e francesi si dividevano i brandelli della nostra Penisola. Nell’Ottocento, Metternich rifiutava addirittura di considerarci un Paese, preferendo definirci “una mera espressione geografica”; nel primo Novecento le cancellerie europee commentavano i continui “giri di valzer” della nostra politica estera, che alleata dell’Austria non esitava a muoverle la guerra nel 1915. E potremmo anche fare esempi più recenti, ma la sostanza non cambia. E’ una sorta di pregiudizio che porta gli altri a guardarci dall’alto in basso, con sufficienza.
Fa ridere che i tabloid inglesi facciano gli indignati per i Bunga Bunga quando sulla loro Casa Reale si potrebbe imbastire un porno. E non c’è bisogno di ricordare i casi Clinton-Lewinsky e le orge dei fratelli Kennedy alla Casa Bianca, e neanche i tradimenti vari di Sarkozy. Eppure, alla fine, gli Italiani sono sempre i soliti. In realtà, forse, dovremmo imparare a fregarcene di quanto gli altri dicono di noi. Perché se i cosiddetti intellettuali stranieri hanno tempo da perdere con noi, è solo per sviare dai problemi interni, dalle magagne e dagli imbarazzi che quotidianamente vivono a casa loro. E’ sempre stato così. L’unico problema è che il parente povero è l’Italia. E questo non si può cambiare.
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