Sala ovale: L'Italianità

26 aprile 2010

E’ sempre più raro sentire qualcuno, nel nostro Paese, dire di essere orgoglioso di essere italiano. Certo, di tricolori e di inni cantanti a squarciagola subiamo l’overdose ogni volta che qualche nostro atleta conquista coppe e medaglie in giro per il Mondo, ma per il resto l’italianità sbandierata ai quattro venti è una razza in via d’estinzione. Quanta importanza dà l’italiano medio, quello che si sveglia al mattino per andare a lavorare e torna stanco morto a casa la sera, al fatto di essere italiano? Probabilmente non gliene frega niente. E come dargli torto. L’Italia è un Paese che sta invecchiando, lentamente. E’ un Paese dove quello spirito gioioso ed innovativo che ne aveva fatto le fortune, sta scomparendo. E’ un Paese che si è seduto su se stesso, e vegeta più che vivere. E’ una constatazione, amarissima. Ma è così.
Non penso sia colpa della Lega o dei neo sudismi (vedi Puglia, vedi Sicilia) che iniziano ad andare di moda. La Lega fa nazionalismo, un suo nazionalismo. Ma intacca poco il fatto profondo di sentirsi italiani. Nel 2006, anno della vittoria mundial, anche nella Padania più verde si sventolavano i tricolori. Certo, agitare la propria bandiera solo quando si vince una partita è un insulto, un’offesa a chi per quella bandiera ha combattuto e spesso c’ha lasciato le penne. Goffredo Mameli, poeta autore del Canto degli Italiani (sì, questo è il titolo del comunemente detto “Fratelli d’Italia"), è morto di cancrena perché aveva sfidato il nemico pur di portare all’Italia quella vittoria tanto agognata. Quanti ventenni oggi farebbero lo stesso per la propria Patria? Pochi, pochissimi, nessuno? Beh, non ci metterei la mano sul fuoco. Tra i giovani, uno spirito patriottico c’è, si vede. Sarà superficiale, sarà blando, si limiterà alla mano sul cuore quando si sente qualche banda eseguire l’inno nazionale. Ma questo spirito c’è. Giovani che vanno volontari in missione all’Estero, nei teatri di guerra, non lo fanno solo per soldi. Lo fanno anche per tenere alto il nome dell’Italia. Come si dovrebbe fare. Oggi sembra che tutto questo sia fanatismo, militarismo, fascismo. Paroloni enormi ed al contempo vuoti, che non vogliono dire niente. Un’anti-retorica spicciola che da qualche decennio ha soppiantato valori fondanti e fondamentali. Il tutto perché si aveva paura che qualche emulo di Mussolini potesse rifondare fasci di combattimento pre-dittatoriali soffiando proprio su quelle braci mai spente di fuochi nazionalisti.
Eppure, nazionalisti lo si può essere senza per questo fare il saluto romano. Nazionalismo può essere ormai unito ad europeismo, per esempio. Tutto il mandato presidenziale di Carlo Azeglio Ciampi era all’insegna di questo nesso fondamentale: riscoperta dei valori nazionali, dei simboli che uniscono, e strenua difesa della casa comune europea. Forse una lettura meno politica e più interiore, più vera, della propria storia e delle proprie radici, potrebbe portare tutti, anche i più diffidenti, a non indignarsi e a schifarsi quando si tratta di dire “io sono Italiano”. Utopia? Chi lo sa… lo scopriremo solo vivendo.

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